27 marzo 2009

Il business dei titoli "tossici" (e presunti tali...)

Così come non mi ha mai convinto tutta questa urgenza nel dover correre a dare vagonate di soldi pubblici alle banche (che poi "a sorpresa" continuano comunque a presentare bilanci con utili faraonici, vedi caso Unicredit), allo stesso modo non mi convince tutto questo parlare di titoli "tossici" che richiedono un intervento urgente (in sostanza sempre denaro pubblico per ritirarli). Non che non creda che esista il problema. E' evidente che esiste e che proprio da lì è partita questa crisi globale. Quello che non mi convince è proprio la terminologia e soprattutto in che modo viene utilizzata. Mi spiego: che vuol dire "titoli tossici"? Tutto e niente. Con la stessa "faciloneria" con cui si è approciata la questione banche ora si parla di strumenti finanziari. E' facile dire "titoli tossici", bisognerebbe però dire cosa esattamente si intende per tossico. Bisognerebbe cominciare a dare parametri precisi. Perchè altrimenti ci viene il sospetto che si voglia restare sul vago per far comprare con fondi pubblici anche roba che altrimenti rimarrebbe lì dove è (senza magari a questo punto fare grossi danni). Insomma, c'è qualcuno che prova a marciarci cercando di "svuotare il magazzino" a spese del sistema pubblico? I "titoli tossici" (anche quelli presunti tali...) rischiano di diventare un business come la cronaca ci ha raccontato a volte per le scorie radioattive delle centrali atomiche? E, nel caso, chi se li farebbe "rottamare" questi titoli? Le banche. E, già, sempre loro, le banche. Aiuti di Stato da una parte, ritiro retribuito dei titoli tossici dall'altra. Questo in entrata, mentre in uscita resta nonostante tutto, nonostante gli aiuti dovrebbero servire proprio a sbloccare il credito bancario, la stretta dei finanziamenti alle imprese. Tutto ha sempre più semplicemente il sapore di una grande beffa.

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19 marzo 2009

Stiamo dando aiuti di Stato a Paperon de Paperoni?

Dunque, 4 miliardi di utili per l'Unicredit. "Sopra le stime degli analisti", così si è detto ieri. In realtà, nessuna sorpresa, che erano 4 miliardi lo si sapeva già da almeno qualche settimana (lo ho riportato ad esempio pure io in questo blog lo scorso 23 febbraio). Gli analisti forse farebbero meglio ad analizzare un po' meno (tanto in questi ultimi anni abbiamo visto quanto valgono le loro analisi...) e a leggere invece un po' di più siti e giornali. Ma, a parte questa nota di colore sui "soliti" analisti, il punto vero è un altro: avete presente quanti sono 4 miliardi di euro? 4.000.000.000 di euro! Questo fa di utile Unicredit ovvero la banca che è stata considerata la più colpita dalla crisi e quindi quella che per prima va aiutata. In pratica, in questi mesi ci è stato raccontato di banchieri che fanno fatica ad andare avanti, che non hanno fondi per garantire il normale flusso di finanziamenti alle aziende, salvo ora "scoprire" che sono ancora dei veri Paperon de Paperoni. Stiamo dando aiuti di Stato a Paperone per rimpinguare ulteriormente il suo deposito? Ma facciamo un passo oltre, in un territorio "delicato": si dice che i numeri che arrivano ora dalle banche potrebbero, diciamo così, non "includere" ancora gli effetti di certi possibili contraccolpi della crisi. Pensiamo al tanto discusso fronte nell'Est Europa proprio di Unicredit. Bene, allora si faccia chiarezza una volta per tutte. Delle due l'una: o i numeri non sono proprio lo specchio totalmente fedele di tutta una situazione, e allora si porti a galla tutto e si discuta di tutto, o se si dice che ci sono super utili e basta si faccia marcia indietro rispetto agli aiuti di Stato. Insomma, o Paperone ci dice che non è oro tutto quello che luccica o con i suoi miliardi può benissimo tirare avanti da solo.

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18 marzo 2009

L'agonia dei giornali

Servizio video di WallStrip, sito americano di cui mi è capitato di parlare già in passato, con sottotitolazione in italiano a cura del blog di Grillo, che ogni tanto fa qualcosa di veramente utile ;-)
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16 marzo 2009

Ritorno al futuro

In questi mesi mi sono più volte scagliato contro questo neo-statalismo di ritorno proposto ovunque, dagli Usa all'Europa, come unica ed esclusiva ricetta anti-crisi. Come ho già avuto modo di scrivere, temo che nel lungo periodo la cura possa far peggio della malattia e penso che in nome dell'emergenza crisi non si può comunque seppellire il liberalismo. Personalmente mi fa quindi molto piacere leggere che lo schema del neo-dirigismo statalista in economia comincia già a vacillare proprio nell'America del New Deal riesumato ad hoc da Barack Obama e proprio nel settore bancario, epicentro di tutto. Mi riferisco alle ultime dichiarazioni di Richard Kovacevich, presidente della banca Wells Fargo. Che definisce "da asini" il piano Obama per le banche americane. Kovacevich in sostanza dice che l'amministrazione Usa ha in qualche modo esagerato la portata della crisi spingendo ad accettare i fondi stanziati anche banche che in realtà in prima battuta non li avrebbero voluti. Già, perchè il punto è che in cambio dei finanziamenti vengono imposte dalla politica precise regole e restrizioni. Che evidentemente cominciano ad andare strette. Soprattutto se poi, facendo i conti, si vede che in fondo l'intervento dall'alto non era strettamente necessario. Dice ancora il numero uno di Wells Fargo: "Se non fossimo stati costretti a prendere il denaro del Tarp - il Troubled Asset Relief Program è proprio il programma di sostegno alle banche - avremmo potuto raccogliere capitali privati". Per carità, ovvio che ora i banchieri, in una situazione già diversa, provano a sfilarsi. Fanno il loro gioco, insomma. Ma il punto è un altro: passare dal mercato, seppur con tutti i suoi limiti e le sue storture, ad un regime di partecipazioni statali tout court non funziona. Il New Deal era new 80 anni fa, non oggi. Oggi è roba vecchia, anzi vecchissima. Stantia e decotta. E di vecchio puzza. La crisi non si risolve semplicemente con vagonate di soldi pubblici dati a pioggia ai settori più forti, creando deficit. In questi ultimi mesi si è pericolosamente creata una sorta di omogeneizzazione culturale: un po' ovunque appunto questa storia dei maxi aiuti di Stato e basta. Ricetta globale, con tutti a dire che se lo fa pure Obama sarà la cosa migliore. Ecco, ora fortunatamente proprio nell'America di Obama ci sono i primi cedimenti. Abbiamo parlato del gruppo Wells Fargo, ma attenzione perchè si dice che pure Bank of America e Goldman Sachs vogliano uscire dal programma Tarp. Mettiamola così: con questi piani statalisti abbiamo fatto un pauroso salto nel passato, ora, se persino le stesse banche cominciano a chiamarsi fuori, bisogna al più presto ritornare al futuro. Il New Deal lasciamolo alla storia del secolo scorso.

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09 marzo 2009

Aspettando il Blitz

Sono molto incuriosito da Blitz, il nuovo progetto nell'area dell'informazione online che dovrebbe partire entro la fine del mese. Sono curioso di vedere il sito. Perchè nasce da un pezzo da novanta del settore come Marco Benedetto, per anni e anni amministratore delegato del gruppo Espresso, e perchè almeno nelle intenzioni sembra avere alla base un modello molto interessante. Vedremo dunque, alla messa online della prima versione non dovrebbe mancare molto. E in ogni caso, aldilà del giudizio che ognuno potrà dare sul sito, l'operazione Blitz rappresenta un bel segnale: in un momento in cui tutti parlano solo di tagliare o chiudere, c'è chi invece ha il coraggio di aprire qualcosa di nuovo. Su quel nuovo che è internet. Per cui, onore a Marco Benedetto e un grosso in bocca al lupo all'iniziativa.

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03 marzo 2009

Scagli la pietra (sul binario) chi è senza peccato...

Come si dice, quando leggo certe cose resto basito. Dichiarazione odierna di Rocco Sabelli, amministratore delegato della nuova Alitalia, che se la prende con le ferrovie (la querelle con Moretti di Fs è ormai aperta da un po'): "Il ruolo di Fs sul mercato è quanto meno ambiguo. Nel 2008 Fs ha ricevuto dallo Stato 3,6 miliardi di euro, una cifra superiore del 17% rispetto al 2007. Per questo noi competiamo con un'azienda che in parte viene sostenuta dallo Stato. Si tratta di una competizione unfair". Ora, si può capire che c'è una concorrenza sulla tratta Milano-Roma destinata a crescere, si può capire che la compagnia aerea è in una non semplice fase di rilancio, si può capire tutto, ma francamente si fa fatica a sentire che adesso l'Alitalia accusa le Fs di essere favorite dal sistema pubblico. La "nuova Alitalia" non ha avuto anch'essa una mano dallo Stato? La cordata Cai ha fatto tutto da sola o lo Stato le è andato incontro? I debiti della vecchia Alitalia chi se li è accollati? Le trattative con i sindacati dove sono state gestite? Ora davvero va bene tutto, ma non esageriamo...

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02 marzo 2009

The crisis of credit

Ho trovato la versione sottotitolata in italiano del video "The crisis of credit" che su internet sta girando già da qualche settimana:

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